domenica 20 ottobre 2013

DUE EUROPE TRA '600 E '700

Le Rivoluzioni inglesi

Gli Stuart (1603-88) tentarono di imporre una monarchia assoluta in Inghilterra, trovando diversi tipi di opposizione:
Magna Carta - opens new window
Magna Charta - 1215
  • religiosa: i sudditi rifiutavano la Chiesa anglicana (la Chiesa di Stato guidata dal re) e si avvicinavano al puritanesimo, opponendosi al controllo dello Stato;
  • politco-giuridica: Parlamento con la Petizione dei diritti del 1628 si oppose alle pretese assolutistiche di Carlo I, rivendicando i diritti garantiti dalla Magna Charta del 1215 (libertà personale e obbligo di sottoporre all'approvazione del Parlamento ogni nuova tassa);
  • economica: i ceti produttivi chiedevano che la Corona cessasse di intromettersi nella vita economica e appoggiasse i loro interessi.
Si creò così un conflitto fra la nazione, che esigeva di partecipare alla gestione dello Stato, e il sovrano, appoggiato da una parte della nobiltà.
In seguito al rifiuto di Carlo I di rinunciare al potere assoluto, l'Inghilterra precipitò nella guerra civile (1642-1649). Il Parlamento ebbe la meglio: Carlo I fu condannato a morte e fu instaurata la repubblica sotto la guida di Oliver Cromwell. Il paese era però diviso in fazioni: di fronte al pericolo dell'anarchia Cromwell assunse un potere dittatoriale.
Dopo la morte di Cromwell il Parlamento consentì il ritorno della monarchia (1660). Quando con Giacomo II si profilò il rischio di una dinastia cattolica, offrì la corona al protestante Guglielmo d'Orange. In questa occasione gli orientamentidel Parlamento si raccolsero in due partiti:
  • whigs, filoparlamentari;
  • tories, difensori delle prerogative regie.

La Francia del re Sole

Fino al 1661 la Francia fu retta dall’abile cardinale Mazarino. Alla sua morte, Luigi XIV non nominò più un Primo ministro: volle tenere il potere saldamente nelle proprie mani. Credeva all’origine divina del monarchico e scelse per sé l’emblema del Sole, simbolo di potenza e centralità. Costruì uno Stato assoluto, identificato nella sua persona, che in seguito fu preso a modello dagli altri sovrani europei. Nel 1715 il popolo festeggiò la morte di Luigi XIV che segnava la fine del suo lungo e oppressivo regno.
La monarchia assoluta accentra tutto il potere nelle mani del sovrano, che a suo arbitrio controlla organi e funzionari e convoca le assemblee rappresentative. Il re è vincolato solo dal rispetto dall’ortodossia religiosa e delle norme di successione al trono.
Luigi XIV cercò i poteri di Chiesa, nobiltà e Parlamenti, e tentò di assumere il controllo di tutta la macchina statale. Perciò:
  • Luigi XIV di Francia e Navarra
    formò una nuova classe dirigente a lui fedele, scelta non più tra i nobili ma tra i borghesi più capaci. Riuscì a porre in posizione subordinata la grande nobiltà;
  • creò una burocrazia direttamente dipendente dalla Corona: istituì un sistema di consigli e utilizzò gli intendenti, funzionari che controllavano il funzionamento di tutta l’amministrazione.
La politica fiscale e quella economica furono affidate a Jean-Baptiste Colbert, il quale:
  • risanò il sistema fiscale e amministrativo, caratterizzato da abusi e inefficienza. Le entrate della corona aumentarono considerevolmente;
  • applicò la politica mercantilista, che prevede l’intervento statale a tutela della produzione interna con incentivi alle esportazioni e dazi per limitare le importazioni.
Luigi XIV riformò l’esercito ed eresse fortificazioni lungo le frontiere. Puntava all’egemonia in Europa: durante il suo regno la Francia fu quasi costantemente in guerra. Con la politica culturale cercò il controllo delle coscienze. Il dissenso fu represso con la censura, e la cultura ufficiale produsse grandi opere celebrative della sua figura.
Luigi XIV concepì la religione come uno strumento di governo: cercò di controllare il clero francese (gallicanesimo), scontrandosi con il papato. Inoltre combatté il dissenso religioso, perseguitando giansenisti e ugonotti, che rivendicavano la libertà di coscienza.

L’assolutismo in Russia e Prussia

Pietro I il Grande
La Russia era rimasta isolata dai grandi cambiamenti sociali e culturali dell’Europa occidentale.
Lo zar Pietro I il Grande, al potere dal 1689, cercò di occidentalizzarla: voleva edificare uno Stato assoluto, sottomettendo la nobiltà e tutte le istituzioni che, come la Chiesa ortodossa, si opponevano alle riforme. Pietro riuscì ad avviare la modernizzazione della Russia che restò tuttavia un paese economicamente e socialmente arretrato.
La Prussia, un regno affermatosi nel corso del Seicento, era frammentata e arretrata. Federico Guglielmo I (1713-1740) la rinnovò, portandola fra le grandi potenze europee.
Alla fine del regno di Federico Guglielmo I la Prussia poteva vantare un apparato burocratico e un sistema fiscale efficienti.
Soprattutto il sovrano poteva disporre di un agguerrito esercito guidato da un corpo di ufficiali preparati ed estremamente fedeli. Alla sua morte (1740), lasciò al figlio Federico II (1740-1786) uno Stato pronto a espandersi e a inserirsi a pieno titolo nelle contese nelle grandi potenze europee.
Lo sviluppo di Russia e Prussia tra Sei e Settecento presenta alcuni aspetti comuni:
  • i sovrani riformarono lo Stato puntando all’assolutismo anche a traverso la creazione di una burocrazia statale stabile. L’apparato militare ebbe grande rilevanza: in Prussia l’esercito costituì la base della espansione del paese;
  • dal punto di vista sociale si cercò di sottoporre la nobiltà alla Corona, inserendola nei ranghi dell’amministrazione statale. In Russia fu forte la spinta verso l’occidentalizzazione negli usi e della cultura.
Tuttavia, in entrambi i casi, le riforme vennero imposte dall’alto a una società contadina, in cui dominava il latifondo e mancava la borghesia imprenditoriale e produttiva.

Un secolo di guerre

Tra il 1667 e il 1763 l’Europa fu quasi sempre in guerre. Non si trattava più di guerre de religione, che erano terminate con la pace di Westfalia, ma di combattute per il possesso di nuovi territori e per stabilire un nuovo equilibrio tra gli Stati. Spesso si trattò di guerre di successione: le dinastie europee erano tutte imparentate, e un trono vacante per essenza di eredi diretti poteva essere rivendicato da molti.
Merita ricordare la guerra dei Sette anni (1756-1763) che in un certo senso fu la prima guerra mondiale della storia. Si combatté, infatti, in Europa, India e America.
Hohenfriedeberg.Attack.of.Prussian.Infantry.1745
1745 - Attacco dell'esercito prussiano
La politica espansionista di Luigi XIV fu all’origine del secolo di guerra. Approfittando della debolezza di Inghilterra (alle prese con la crisi interna) e Austria ( pressata dai Turchi), la Francia riuscì a compiere una serie di annessioni. A partire dagli anni Ottanta del Seicento, però, la coalizione antifrancese fu in grado di contrastare il re Sole, che fu messo in gravi difficoltà con la guerre di successione spagnola (1701-1713). Le pretese di supremazia della Francia furono così sconfitte.
La Spagna, estintasi la dinastia degli Asburgo, passò in mano a un ramo dei Borboni, ma perse parte del suo impero coloniale.
Nel 1713 la denominazione spagnola in Italia ebbe fine. La pace di Aquisgrana (1748), con cui finì la guerre di successione austriaca, segnò l’inizio della dominazione austriaca e borbonica. Il paese, a eccezione del Regno di Sardegna (in mano ai Savoia), era debole frammentato.
Per quanto riguarda i traffici commerciali, che ormai si sviluppavano a livello mondiale, i grandi sconfitti, rispetto ai secoli precedenti, furono gli Stati iberici e l’Italia.
Nel 1683 l’esercito turco giunse ad assediare Vienna, ma fu costretto a ritirarsi. Iniziò così il declino dell’Impero ottomano, che in seguito venne più volte sconfitto dalle potenze europee, soprattutto dall’Austria.
La Russia ottenne una “finestra sul Baltico” sconfiggendola Svezia e si inserì saldamente nella vita economica e politica dell’Occidente.
La Prussia si rafforzò notevolmente a danno della Svezia, della Polonia e dell’Austria. Questo Stato, destinato a una straordinaria ascesa che culminò nel 1871 con l’unificazione della Germania, era governato dallo spregiudicato Federico II il Grande. Questi approfittò della crisi dinastica in Austria per occupare la Slesia e della debolezza della Polonia per spartirsi il suo territorio con Austria e Russia. Alla fine del Settecento la Polonia sparì dalla cartina europea.
L’Olanda lasciò il primato marittimo all’Inghilterra che, alla fine del secolo delle guerre, si presentava come la maggiore potenza coloniale e commerciale, arbitra dei nuovi equilibri.

lunedì 23 settembre 2013

L'ANCIEN REGIME

 Una società dominata dalla disuguaglianza e dall'ingiustizia.
Antico regime è il termine con il quale gli storici indicano l'insieme delle istituzioni politiche, giuridiche, economiche e sociali caratteristiche di gran parte dell'Europa tra 16° e 18° secolo. L'espressione ancien régime ("antico regime") fu introdotta dai rivoluzionari francesi del 1789 per contrapporre il vecchio regime prerivoluzionario al nuovo regime da loro creato in Francia con la Rivoluzione francese
dall’Enciclopedia Italiana Treccani


La popolazione

Secondo i rivoluzionari francesi l'Antico Regime era caratterizzato da:
  • autorità di un sovrano assoluto, alleato con la Chiesa;
  • privilegi di nascita e oppressione dei sudditi, schiacciati dalle imposte, se contadini, obbligati alle servitù personali.
Durante l'antico regime convissero e si stratificarono istituzioni e fenomeni appartenenti a epoche diverse. La data della sua fine è dibattuta: secondo l'ipotesi tradizionale, avvenne tra Settecento e Ottocento, in seguito alla Rivoluzione francese e a quella industriale; invece secondo lo storico Arno J. Mayer è terminato con la prima guerra mondiale.
Tra il 1300 e il 1700 la popolazione europea aumentò solo del 30 %. Le cause di questa stabilità demografica furono:

  • l'alternarsi di fasi di crescita e di crisi: l'aumento della popolazione venne contrastata ciclicamente da grandi catastrofi demografiche (guerre, carestie ed epidemie di peste);
  • il matrimonio tardivo (20/25 anni per le donne, 25/30 per gli uomini) che riduceva il periodo dell'unione feconda e quindi il numero delle nascite.
La società era estremamente giovane. Ciò era dovuto alla breve durata della vita media (34 anni le donne, 28 anni gli uomini):
  • pessime condizioni igienico-sanitario, fame, malattie e lavoro;
  • mortalità infantile molto elevata.


Una società rurale

Durante l'antico regime l'85% della popolazione viveva in campagna e l'agricoltura occupava il 65-90% della popolazione. La produttività era bassa: l'unico modo per aumentare la produzione era ampliare la superficie coltivata. Per questo motivo pochi potevano vivere del lavoro altrui.
L'industria non era considerata importante. Era rappresentata prevalentemente dalla bottega artigiana o dal lavoro a domicilio. Le grandi imprese erano poche, ed erano controllate dallo Stato o da finanzieri che spesso avevano acquisito le loro fortune nel commercio a grande distanza. Proprio in questi settori, però, andava formandosi l'economia moderna.
Nell'antico regime, l'immobilità dei villaggi rurali si contrappose alla vitalità delle città:
  • la lentezza dei mezzi di trasporto ingigantiva le distanze, isolando le comunità rurali, alle quali non giungevano le innovazioni economiche e sociali. Essendo difficile commerciale su lunghe distanze, i villaggi cercavano l'autosufficienza affidandosi all'autoconsumo e al baratto;
  • le città ospitavano una percentuale minima della popolazione. Tuttavia proprio al loro interno, si trovavano i centri di controllo di tutte le più importanti funzioni politiche, economiche, culturali e militari. Nei centri urbani maturarono le innovazioni economiche e sociali che avrebbero segnato il passaggio all'età contemporanea.

Le gerarchie sociali

Nell'antico regime leggi e diritti non erano uguali per tutti. I diritti, infatti, non erano concepiti come propri di ogni persona, ma come privilegi di nascita o elargiti dalle autorità. La società non era divisa in classi (ossia individui che condividono una medesima situazione economica), ma in ordini (detti anche ceti o stati, formati da individui che per nascita godono degli stessi diritti). La disuguaglianza fra gli ordini corrispondeva alle diverse funzioni sociali:
  • il primo, il clero, amministrava il culto divino (la Chiesa);
  • il secondo, la nobiltà (aristocrazia), garantiva la difesa;
  • il terzo, il Terzo stato (e la borghesia; mercanti e agricoltori), doveva lavorare per l'intera comunità.
La nobiltà deteneva il primato sociale. La sua potenza era fondata sul controllo della terra. Al nobile era vietato lavorare e commerciare: doveva vivere delle rendite fondiarie, senza curarsi del denaro. Ciò portò molti nobili alla rovina. I nobili caduti in miseria continuavano a godere dei privilegi, ma il potere era di fatto in mano della ristrettissima élite che disponeva di grandi ricchezze. Ciò valeva anche per il clero.
La borghesia doveva la sua fortuna agli affari e alle professioni liberali. I suoi ideali erano legati allo spirito di profitto: imprenditorialità, dedizione professionale e attenzione nelle gestione del patrimonio. Dall'XI secolo si realizzò l'ascesa di questa classe sociale, in virtù della sua crescente ricchezza. Ma il primato sociale rimase alla nobiltà, tanto che i borghesi cercavano di accedere all'ordine nobiliare acquistando titoli e feudi.

Lo Stato

Nei secoli XII-XV il potere del sovrano era limitato. Esisteva un accordo tra gli ordini e il re: i primi accettavano di sottomettersi all'autorità del re e lui gli garantiva i privilegi, e il rispetto di essi. Il re non poteva governare senza il consenso dei sudditi. Dopo la guerra dei Trent'anni (1618-1648) si affermò la monarchia assoluta, tipica dell'antico regime. Il sovrano rifiutò il semplice ruolo di garante dei diritti dei ceti e pretese di non essere più subordinato alla legge, ma di crearla lui stesso. I sudditi persero tutti diritti; che furono sostituiti da molteplici doveri.
L'assolutismo dell'antico regime non poté realizzarsi completamente perché mancavano le tecnologie che avrebbero garantito al sovrano un efficace e completo controllo sul territorio e sulla società. L'assolutismo fu quindi un progetto teorico e non un fatto reale. La tradizione era un valore fondamentale, e che si preferiva dunque far convivere il nuovo con il vecchio piuttosto che abolire definitivamente qualcosa. ne conseguiva un caosamministrativo in cui il potere centrale risultava inefficiente e privo di controllo.
Ai tempi della Riforma protestante e delle guerre di religione le Chiese si erano appoggiate al potere temporale per tutelare la propria autorità. Contemporaneamente il sovrano aveva assunto il controllo delle gerarchie ecclesiastiche, ritenute uno strumento di governo indispensabile. Il re (sia cattolico che protestante) si presentava come protettore della vera fede, e il popolo riteneva il suo potere di origine divina. L'identificazione Chiesa-Stato costituiva la radice dell'intolleranza. Inoltre si pensava che la libertà di fede avrebbe portato all'ingovernabilità, in quanto un suddito di diverso credo avrebbe rifiutato l'autorità regia.
Lo Stato era concepito come proprietà del sovrano, perciò:
  • il re poteva disporne come qualsiasi altro bene;
  • alla sua morte era trasmesso in eredità.
La Rivoluzione francese contrasterà questa concezione patrimoniale e dinastica, affermando che la sovranità deriva dal basso, cioè dall'insieme di individui che formano la Nazione, e non dall'alto, cioè da Dio.